SCRITTI (DICONO DI LEI)

CRITICA, COMMENTI, CORRISPONDENZA

CANADIAN ART N.19 (marzo - aprile 1962)

I dipinti di Marion Greenstone mostrano una contemplazione profondamente sentita del paesaggio, benché si tratti più di un paesaggio interiore che di un paesaggio particolarmente obiettivo.

Secondo Wallace, il suo uso del colore ha un'intensità quasi visionaria.

MARION GREENSTONE di Christopher Sippel

Campi interconnessi di mappe musicali. Collage di geroglifici. Fantasmi curvati, distorti allungati. Sezioni di protozoi. Allusioni a creature mitologiche e luoghi magici. Convergenza di equanimità calma e il rumore del tardo 20° secolo.

Questi sono i dipinti e collages di Marion Greenstone. In alcuni, le colorazioni sono reminiscenze di Rothko o Klee. Tuttavia, la sua voce individuale parla più forte e più chiara nelle immagini che appaiono come sezioni di terra colorata o volteggiando sopra vedute aeree di paesaggi ultraterreni ben incorniciati. C'è un equilibrio geometrico di Mondrian che motiva queste opere, tuttavia permette loro di galleggiare liberamente. Alcune immagini alludono anche a schemi elettrici e circuiti, ma per niente, in senso letterale.

C'è un senso che l'osservatore sta guardando attraverso un microscopio in un mondo strano e meraviglioso nuovo di microparticelle. Queste allusioni agiscono sempre più come i koan zen, le cui risposte sono fortemente radicate nelle forme, colori, linee e texture delle immagini di Greenstone.

Non per essere tradotti da una linguaggio all'altro, questi equilibrati e riflessivi dipinti sono mondi paralleli, per essere aperti e analizzati come una complessa rete di ricordi, idee e processi pittorici.

MANTENERE IL CONTESTO DOPO LA RIMOZIONE DEL CONTENUTO di Pat Adams

Marion Greenstone ha vissuto una vita interessante. Nata a New York City, nel 1925, Marion ha ricevuto la sua educazione lì, avendo guadagnato una laurea in lettere al Brooklyn College, un MA presso la Columbia University, e un Diploma al Cooper Union College, Marion decise di vivere in Italia, dove ha vissuto dal 1954 al 1956, e successivamente in Canada, dal 1957 al 1963: i due luoghi in cui ha creato la sua arte.

Una laurea in lingua e letteratura inglese ha portato Marion all'utilizzo del metodo immaginario - la pratica di discriminare le fantasie dai fatti - nel fare arte. A partire da forme geometriche astratte, il suo immaginario è diventato sempre più obiettivo, riflettendo il suo interesse nel "mantenere il contesto dopo la rimozione del contenuto".

Spaziando dal piccolo disegno a matita e a pastello su carta a quello di grandi dimensioni a tecnica mista su tela con i temi dalla serie dei bei fiori a soggetti più astratti che riflettono l'essenza del mondo naturale, Marion ha trattato con una straordinaria gamma di soggetti e mezzi.

LETTERA A MARION di Paul Thek

Cara Marion G

voglio dirti innanzi tutto quanto sia bello conoscerti da tanto tempo. Che buona amica tu sia stata per me - una delle migliori, infatti - e quanto io abbia imparato standoti vicino.

È proprio vero. Una persona sinceramente sensibile ai sentimenti altrui, ancora alla ricerca di caldi rapporti umani, chiari, solidi, affidabili. Mi chiedo perché ti dico tutto questo. Ma so esattamente perché. L'ultima volta che ti ho incontrato a NY siamo andati a vedere "Women in Love", di D.H. Lawrence. Lungo la strada mi hai detto che mi consideravi un artista, un vero artista. Vedi, nessuno mi aveva mai detto una cosa simile. Nessuno aveva mai lasciato da parte gelosie professionali, rivalità ecc. per dirlo in modo aperto e onesto, come hai fatto tu.

Sono rimasto veramente scioccato, troppo scioccato per reagire in altro modo che mettendomi a ridere, una reazione comune alla sincerità. Tuttavia, senza aspettare un solo istante, e dopo vent'anni, voglio dirti quanto ti sono grato per la tua onestà e affetto. Grazie per la nostra antica amicizia e per tutto il tuo aiuto e incoraggiamento. Tu sai che anche per me è stata dura… e sai quanto io ammiri il tuo lavoro. Ricordo i dipinti dei primi anni '60, prima che tutto diventasse un gigantesco casino… ecc. ecc..

Potrei continuare, ma non credo che questo sia il posto adatto. Mi chiedo spesso cosa tu stia facendo adesso, laggiù. Vorrei avere una casa per poter ospitare una certa Marion G. Sei stata una così cara amica per me. Un'isola di serenità e dignità in un caos di pose strampalate e pretenziose. Mi chiedo chi tu sia veramente. Mi manchi e voglio dirti che penso a te, a quanto hai fatto per me che mi ha aiutato e dato forza. Con vero calore umano. Sei stata un'ispirazione, cara Marion G. Tante, tantissime grazie.

Tuo Paulie

RICORDO DI MARION GREENSTONE di Evelyn Eller

Ho incontrato Marion nel 1954, sulla nave che ci portava in Italia, avendo entrambe vinto una borsa di studio Fullbright per la pittura. Durante il soggiorno in Italia abbiamo passato molto tempo insieme, visitando musei, facendo gite noi due sole o anche con Myron.

Nel corso degli anni ci siamo sempre tenute in stretto contatto. Dato che vivevamo tutte e due a New York, ci vedevamo spesso da sole o con i nostri mariti. Apprezzavamo tutti la sua eleganza, intelligenza, amore per la letteratura, le piante, i giardini e la sua passione per la cucina. Tuttavia, vorrei parlare di Marion come artista.

Molti di voi conoscono i suoi dipinti e i suoi disegni (la sua opera non ha bisogno di commenti, parla da sola) e tutti li abbiamo ammirati. Quanto a me, è particolarmente caro il ricordo delle nostre visite a musei e a gallerie d'arte e i nostri sforzi per immaginare come altri artisti avessero usato certi materiali e certe tecniche. Infinite volte, mentre passeggiavamo, Marion mi faceva notare dettagli architettonici, la luce su un edificio, il colore cangiante del cielo. Si guardava sempre intorno, con uno sguardo d'artista e aveva il desiderio di condividere queste esperienze visive con me. Era estremamente sensibile.

Mi mancherà moltissimo il nostro rapporto speciale, nato fra due persone con l'amore per l'arte e per la bellezza.

UNA VITA PER L'ARTE di Sigmund Balka

Marion Greenstone, nata nel 1925 e scomparsa nel 2005 era una pittrice di notevole talento, essa ha lasciato un importante patrimonio artistico, ma come accade nel caso di altri artisti ugualmente prolifici, è necessario che tale patrimonio venga fatto ulteriormente conoscere mediante mostre, libri e cataloghi.

Marion Greenstone ha tracciato il proprio cammino artistico con grande determinazione e le sue opere riflettono l'evoluzione della sua visione pittorica nel corso di vari decenni. Ha usato varie tecniche, alternando quadri dalla forma irregolare, ricchi di immagini, a quadri astratti di grandi dimensioni e passando ancora per altri stili differenti.

Il suo studio in una bella casa di Park Slope, quartiere elegante di Brooklyn, le ha offerto uno spazio adeguato e la possibilità di seguire la sua grande ispirazione artistica e ricerca negli anni. Possiamo dire che Marion Greenstone abbia dedicato la sua vita all'arte.

LA POP ART DI MARION GREENSTONE di Antonella Baldassarri

Sappiamo tutti che la pop art si fonda sul proporre nell'opera (quadro o scultura) elementi ed oggetti presi in prestito dalla società dei consumi, quali bottiglie di coca cola, scatole di fagioli e altri elementi, spesso triviali e di uso comune. L'intento è quasi sempre demistificatore, oppure di "riscatto" per l'oggetto comune.

Nella Greenstone però, stranamente, non c'è mai questa "trivialità" di tipo "kitsch" e appare evidente invece, un'anomala delicatezza, soprattutto interpretata nel senso del colore. Infatti, quando nei suoi quadri pop l'artista interviene con il pennello, si intravede qualcosa di più raffinato dei vari "assemblage" che ben conosciamo di quel periodo. Potremmo dire che seppure la Greenstone è senz'altro appartenuta per un decennio a questa tendenza artistica, non ha mai smarrito l'efficacia del senso plastico e pittorico delle forme, cadenzato da scelte di colore sempre appropriate e in linea con il suo immaginario di bellezza.

Così, se nei vari e seppur grandissimi esponenti della pop art americana, possiamo riconoscere spesso un univoco stile, in Marion Greenstone troviamo un cromatismo e una strutturazione plastica molto diversa; una vera ricerca preziosa di regole compositive che raramente possiamo attribuire alla pop art.

Un quadro pop della Greenstone si può contemplare per ore alla ricerca di sfumature e dettagli, molte altre opere di artisti diversi dello stesso periodo, colpiscono tremendamente per "effetto bomba", per "ironia", per "critica alla società dei consumi", ma appaiono molto più semplici nella tessitura compositiva del quadro.

MARION GREENSTONE: UNA RICERCATRICE di Marco Agostinelli

Marion Greenstone era una ricercatrice. La scoperta di nuovi territori interiori attraversano tutta la sua ricerca artistica. La creazione per Marion era parallela alla scoperta. Era la sua malattia e la sua guarigione al tempo stesso. Era il suo doppio. Anche un altro elemento prorompe nei miei pensieri inevitabilmente: l'urgenza! Marion aveva urgenza di fare arte quotidianamente. Dilaniare il tempo comune costringendolo nel suo tempo interiore, nella sua realtà simbolica.

La vita di Marion Greenstone è stato un lungo viaggio nella pittura, con molte tappe differenti, con molti percorsi diversi, ma per Marion (e per tutti noi) è il suo viaggio che conta e non quegli stili, che a volte le hanno voluto forzatamente avvicinare. Si è parlato a volte dei suoi colori accesi, allegri...ma non è certo un giallo, un rosa o un arancione a fare un lavoro allegro. Allegro nell'arte visiva non esiste! E allora quei suoi quadri pop? Ma il pop non è divertente, è disagio esistenziale, spesso denuncia della società americana. Marion Greenstone è stata un'artista figurativa, informale, astratta, pop, e ancora figurativa. Ma che importanza ha!? In tutte queste fasi lei ha cercato e prodotto solo bellezza. Questo è davvero importante.

Marion ha sempre pensato che la pittura fosse il suo modo migliore per comunicare e io ritengo infatti che non sia per niente difficile colloquiare con i suoi straordinari dipinti.

LA LIBERTA' DELLA LUCE di Enrico Idrofano

Io che mi occupo soprattutto di direzione della fotografia nel cinema ho sempre ammirato la luce nei quadri, quella insita nel colore e negli sfondi sulle tele. La libertà di quella luce è senza fine e a volte è così intensa che è impossibile "illuminarla", artificialmente.

Quando un pittore "accende" un quadro di luce propria è come se prendesse un raggio di sole e lo facesse proprio, tagliando fuori ogni altra possibilità di guardarlo in un altro modo. Giorno è giorno. Tramonto è tramonto. E notte è notte. Nei quadri della Greenstone c'è spesso questa luce inequivocabile, il segno di una maestria antica, di un'eredità secolare proveniente da molta della storia dell'arte antica.

Leggendo dei suoi frequenti viaggi in Italia ho immaginato che parte di questa sua vocazione, di questo talento, provenga anche dalla frequentazione dei nostri musei e forse dalla luce "italiana". A volte ho pensato che fosse un'artista romana e quella sua "arancia" che illumina il quadro fosse soltanto un sole sopra Piazza di Spagna. Marion Greenstone è "solare" quindi, ma non per questo "semplice"...nella luce può esserci anche amarezza e dolore.

MARION GREENSTONE AL COLLEGIO ARMENO MOORAT - RAPHAEL DI VENEZIA di P.Abate Elia Kilaghbian

Ospitare l'opera di un'artista scomparsa è come raccogliere un'eredità da promuovere, coltivare ed esporre; in suo ricordo e in suo onore. L'antica e attuale vocazione del Collegio è sempre quella della cultura, di una cultura internazionale aperta alle più diverse ricerche ed esperienze interiori.

Marion Greenstone ha un percorso artistico variegato e altamente spirituale, soprattutto nel suo "sogno" più ricorrente: la ricerca costante della bellezza. Bellezza intesa come senso estetico, ma anche come integrità e saggezza, e nella sua storia personale lo dimostrano proprio quei lunghi anni di insegnamento, dedicati, con amore per l'arte, interamente ai suoi studenti.

Ricorda essa stessa che mai riuscì ad abbandonare questa sua vocazione e per noi del Collegio, di Palazzo Zenobio, che da sempre dedichiamo molte energie all'educazione culturale dei più giovani, è un aspetto che ci rende la Greenstone molto vicina. Quindi, ospitiamo nelle nostre sale senz'altro una grande artista, ma anche una insegnante insieme, e tutto ciò è davvero in linea con la nostra storia e con la nostra filosofia morale.

MARION GREENSTONE di Archie Rand

Quando sono convinto che un artista, il cui talento è frutto delle circostanze o di un serio impegno, ha sottoposto l'opera sua a un esame attento e privo di compiacimento, ecco che mi sento di riporre la mia fiducia nell'opera di quell'artista. Ne consegue che l'obbligatorietà dell'estetica si rivela ridondante. Gli artisti di cui parlo ci forniscono una chiave di lettura credibile per ogni loro opera e rifiutano ogni pretesa di stile perché la considerano fatua e causa di paralizzanti manierismi. Provano disgusto per gli stratagemmi. E quando ci si trova davanti alla loro opera, il gioco serioso di distinguere un dipinto buono da uno cattivo diventa sciocco e irrilevante e ogni eventuale insuccesso rivela la presenza di antidoti specifici contro tentativi di rettifiche. Nel peggiore dei casi, ne risulta una scrupolosa valutazione che, in quanto coraggiosa e riscattatoria, è sempre stupefacente.

Non abbiamo mai fretta di familiarizzarci con le opere di artisti che non conosciamo perché sospettiamo che il loro calibro non sia stato tale da meritarsi l'attenzione del pubblico. È una reazione quasi viscerale che ci fa dimenticare che Vermeer rimase sconosciuto fino a quando i suoi dipinti non furono distinti una volta per tutte da quelli di de Hooch, o che la cognata di Van Gogh, spinta da affetto e rispetto, tenne le sue tele nell'ombra finché i tempi non furono maturi per riconoscerne l'eccellenza. Malgrado ciò, viene operata una vera e propria falcidia darwiniana delle opere della maggioranza perché ogni società reclama il nutrimento culturale di cui ha bisogno e scarta gran parte del resto. Gli artisti migliori lo sanno e continuano a lavorare perché sentono la necessità di esprimere le proprie percezioni.

Marion Isaacson è nata a New York nel 1925. Dopo essersi diplomata al Brooklyn College nel 1946, ha sposato Myron Greenstone. Si è laureata al Teacher's College della Columbia University, ha frequentato l'Art Students League, ha conseguito una seconda laurea alla Cooper Union nel 1954 e ha insegnato al Pratt Institute. Ha vinto una borsa di studio per l'Italia, dove si è trattenuta per un secondo anno. Nel 1957 si è trasferita in Canada e nel 1961 ha fatto ritorno a New York. Ha vinto un concorso comunale per l'esecuzione di un murale e ha partecipato ad alcune mostre. Ha viaggiato in molti paesi europei, in Medio Oriente e nel West degli Stati Uniti. Ha trascorso i suoi ultimi anni nella sua casa di Brooklyn, a New York, dove aveva anche il suo studio.

Descrivendo il suo passato, la Greenstone scrisse: "All'età di ventun anni, mentre lavoravo come insegnante, mi sono iscritta a un corso del pittore Norman Lewis e l'ho frequentato una sera alla settimana. Per i tre anni successivi ho dedicato tutto il mio tempo libero e le vacanze estive allo studio dell'arte, arrivando infine alla decisione di abbandonare l'insegnamento e di dedicarmi interamente all'arte. Mi sono iscritta all'Art Students League, dove ho studiato con Julian Levi e Vaclav Vytlacil, pur continuando i corsi con Norman Lewis ".

Appare chiaro dai suoi primi studi artistici che la Greenstone è stata preparata a una vita di oculata eccellenza da una serie di maestri estremamente immaginativi. La sua intelligenza e il suo istinto l'hanno guidata nella scelta di tre educatori fra i più innovativi dell'epoca, dei pionieri molto coraggiosi e decisamente marginalizzati. Norman Lewis era il più importante espressionista astratto afro-americano, la cui opera continua ad essere un punto di riferimento e un cardine di quel movimento. Julian Levi era un convinto e coraggioso paladino di quegli artisti che svolsero un ruolo cruciale nella transizione dal surrealismo all'astrattismo. Fu anche fautore della presenza femminile nel mondo dell'arte e dell'introduzione della fotografia nei mercati d'arte. Vaclav Vytlacil era un maestro notoriamente iconoclasta, che ebbe fra i suoi allievi anche Twombly, Rosenquist, Rauschenberg, Tony Smith e Louise Bourgeois. Gli studi con questi straordinari maestri, fra i più anticonformisti dell'epoca, indubbiamente permisero alla Greenstone di abbandonarsi per il resto della sua vita alla sua raffinata esplorazione e al suo amore per la pittura. Sotto la spinta di questo incoraggiamento, e conscia dell'importanza dell'integrità nel processo creativo, non si sottrasse mai ai rischi che la sua onestà artistica le imponeva.

Alla Cooper Union svolse un ruolo determinante in un gruppo di amici, oggi considerati come una nota cerchia di artisti straordinari, storicamente influenti ma individualisti e scontrosi. Stretta fra la pomposità del romanticismo espressionista astratto, ormai al tramonto, e le fazioni nichiliste che spesso popolavano le scuole del minimalismo, della pop art e del concettualismo, la Greenstone si trovò allineata con artisti che credevano fermamente nella spinta narrativa della loro opera, pur sottraendosi alle ostentazioni tipiche di entrambe le fazioni negli effimeri anni '50. Sappiamo che fra i suoi amici della Cooper Union vi furono Joe Raffaele, Paul Thek, Ray Johnson e Eva Hesse.

Si aggiunsero al gruppo Peter Hujar, Wolf Kahn e R.B. Kitaj. A differenza dei loro colleghi più tradizionalisti, questi artisti, nel linguaggio del mondo dell'arte di oggi verrebbero definiti come gente "marginalizzata", dotata di una preveggente consapevolezza della mortalità e del rapporto fra il corpo umano e il mito, temi questi che Jackson Pollock studiò nei suoi ultimi anni e per i quali fu aspramente criticato. La loro ribellione allo status quo avrebbe offerto ad altri artisti delle alternative che vengono oggi alacremente sfruttate.

Il fatto che la Greenstone non abbia esposto le sue opere con maggiore frequenza può trovare spiegazione nell'analogo atteggiamento dei suoi colleghi, molti dei quali erano artisti importanti ma ancora sconosciuti, individui raffinatissimi che, pur non essendo "schivi", evitavano la pubblicità. Gente difficile, individualista e ferocemente polemica. Un critico descrisse Hujar come "non solo oscuro, ma cronicamente, intensamente, incurabilmente oscuro". Oggi è difficile ricordare, o anche immaginare, il tenore degli interrogativi morali che dominavano i temi discussi dalla fine degli anni '40 all'inizio degli anni '80, quando furono spazzati via da filosofie alternative e dal richiamo irresistibile della notorietà.

Marion Greenstone è stata uno dei primi artisti indipendenti e anticonformisti, la cui posizione è stranamente diventata la politica corrente nei corsi di studi delle università e tendenza diffusa fra i sovrintendenti di musei. Questi artisti, stretti fra de Kooning e Warhol, non facevano il gioco dei mercanti d'arte. Il loro rifiuto era garanzia del rigore delle loro idee. Descritta da una compagna di università come "seria" e "riservata", appare chiaro fin dai primissimi lavori che la rigorosa onestà artistica di Marion Greenstone è fuori discussione.

I suoi dipinti nello stile del collage, considerati a volte come una pop art parallela, hanno un intreccio di implicazioni che ne rendono difficile l'inclusione in quella categoria ambigua. Vi sono varie "scuole" connaturate alla pop art. Innanzi tutto c'è la versione post moderna, rimasta legata al formalismo in quanto sconvolge le conclusioni narrative. Essa inizia stranamente con Johns e Rauschenberg, che intralciano il cammino della risoluzione tematica e perfino dell'ipotesi, e include Lichtenstein, Rosenquist e, più tardi, David Salle. Poi ci sono quegli artisti che rendono le loro convinzioni più facili da sviscerare e che hanno le loro radici in de Chirico e in John Heartfield. Fra loro citeremo l'inglese Richard Hamilton, Joe Brainard, lo stesso Warhol e John Baldessari. È importante ricordare che, nel 1963, Paul Thek, amico della Greenstone, crea pitture "televisive" e "cinematografiche" e che nel 1964 espone alla Stable Gallery con Robert Indiana, Andy Warhol e Cy Twombly.

Nel 1968, al Pratt Institute, la Greenstone ha come collega Richard Lindner, un precursore dell'arte pop. L'uso che essa fa di immagini commerciali è quindi perfettamente consono alla sua formazione e al suo naturale sviluppo. In effetti, è coerente con il suo essere uno dei primi esempi di un qualcosa che si avvicina a quello stile. Le sue opere sono spesso contemplative e suscitano felici accostamenti. La loro abilità di ingraziarsi la storia con il linguaggio figurato si colloca sorprendentemente fra Allan D'Arcangelo e Mark Rothko. Una recente relazione (scritta da Sbarra Grow per il Program in Art Conservation della Winterthur/University of Delaware) dimostra che la Greenstone, decisamente non una seguace, nel 1964 usò un'immagine impiegata più tardi da Rosenquist nel 1977.

Le sue ultime opere, nelle quali esplora il mondo delle conchiglie, dei fiori, dell'acqua, del ciclo e di formazioni geologiche, sono sbalorditive nella loro genuina liricità e nella loro esecuzione scrupolosa. Le immagini pop si sviluppano in situazioni compiute, nelle quali il sopravvento del "dove" sul "cosa" è, come sempre, indice di un grande pittore. Colori luminosi e delicati, una mano matura e leggera, forme e situazioni precise, che ricordano a volte la O'Keefe, ma che ci mostrano più spesso una pura e trasognata Greenstone. Scorgiamo delle scaglie di ghiaccio e delle atmosfere marmorizzate. Quei gialli e rosa pesca insoliti, con tocchi di un pallido verde acqua, mantengono una sobrietà tanto rara e conturbante da farci sospettare che quello che stiamo guardando è nuovo. E infatti lo è. Quale altro artista riesce ad essere voluttuoso e allo stesso tempo malinconico? Forse Bonnard.

Nel suo ultimo periodo, la Greenstone infonde in ogni suo dipinto una pulsione generosa e saggia. Uno dei miei quadri preferiti si trova nella collezione del Brooklyn College. È un quadro grande che sembra contenere un circolo arancione eseguito con delicatezza, circondato da alcuni cerchi grigi concentrici. Si direbbe una versione poetica delle forme concentriche tipo bersagli di Kenneth Noland. Un'esame più ravvicinato evidenzia alcuni piccolissimi circoli accanto a uno dei cerchi grigi. Potrebbe trattarsi del sole con i suoi pianeti? Mi ci è voluto parecchio tempo per riconoscere in quel dipinto decisamente astratto il primo piano particolareggiato di una calendula immersa in una ciotola piena d'acqua. I circoli più piccoli raffigurano delle bollicine d'aria. Pur rendendomi conto di tutto ciò, sono libero di tornare alla mia interpretazione astronomica o di vederlo come un semplice disegno perché quel dipinto è così intelligente, così profondo e così altruista.

Quello che più colpisce in tutti i dipinti di Marion Greenstone, qualunque ne sia il formato, è la qualità dell'attenzione che irradia da tutte le sue tele e che appare all'osservatore come il segno di un intenso e immutabile impegno. Crediamo nella sua opera e possiamo abbandonarci con assoluta fiducia a qualsiasi situazione essa ci offra. I suoi dipinti rivelano la sua autorevolezza e, allo stesso tempo, danno sicurezza e conforto. Cocteau disse che l'arte è una macchina che fabbrica amore. Infatti, le opere di Marion Greenstone sono allo stesso tempo eleganti, umili, caritatevoli, illuminanti e amorevoli. Essa è stata sempre consapevole dell'obbligo di creare i propri parametri estetici e lo ha fatto per tutta la sua carriera. È giusto quindi che oggi, in presenza delle sue opere, noi la sottraiamo all'oscurità e la riconosciamo come quella grande artista che è.

I COLLAGE DI MARION GREENSTONE PER RICREARE LA BELLEZZA TRA OCEANI DI PETALI E COROLLE L'Unità (marzo 2011) di Beppe Sebaste

Tutti, quando incontriamo per la prima volta le opere di Marion Greenstone, restiamo esterrefatti. I comodi riferimenti che di solito aiutano e indirizzano la nostra percezione ed esperienza estetica nei riguardi di un pittore vengono a franare. Non è né questo né quello, pare che diciamo, non rientra neppure nella categoria degli artisti senza categoria - pensiamo - ancora incerti se si tratti di una qualità.

E ci sfugge il fatto clamoroso, l'unico che abbia importanza, che stiamo facendo una nuova esperienza. Scopriamo non solo che i quadri di Marion Greenstone sono pieni di bellezza, ma che sono anche un evento - estetico, cioè sensoriale e cognitivo - di cui non immaginavamo la possibilità.

Pop, espressionismo astratto, neocubismo, astrattismo, informale - etichette che servono per rassicurare i critici e i compilatori, non lo sguardo e i gesti di chi fa opere - e lei, Marion Greenstone, scavalcava e debordava ogni classificazione: “Il mio scopo è creare bellezza”, ha scritto di sé. Anche Marion insisteva spesso sulla parola “esperienza”, sua e di chi le guarda. “Esperienza” significa che l'avventura di ogni sua singola opera, qualunque cosa possa raffigurare o far pensare, è sempre un evento, e prima di tutto lo era per lei...

I suoi collages, il debordare limiti e misure, lavorando per accostamenti e giustapposizioni, insomma il collage come metodo fino a un'invenzione originalissima di polittici che è quasi un'arte dell'affresco, si fonde con una pittura che sembra mostrarci reperti salvati di qualcosa di più grande, zoomate di paesaggi creaturali, da Genesi, genesi del mondo e della forma, genesi della pittura - poiché è proprio di ogni vero pittore reinventare il dipingere.

Marion Greenstone osservava la natura per trarne meraviglia e conoscenza: la sua contemplazione amorosa di foglie, fiori e frutta, ma anche di cieli, terre, arcipelaghi, formazioni geoloiche, oltre a una grande bellezza ci regala una lezione magistrale che ricorda in questo Bruno Munari: trovare negli oggetti dell'arte la naturalezza delle cose prodotte nella natura stessa; imitarne non le forme finite ma i sistemi costruttivi, la struttura che le determina.

Il collage come metodo è allora strumento di un'ecologia mente prima che della materia. Istantanee della vita, della sorgente della vita, i quadri di Marion Greenstone allargano la nostra coscienza e ci fanno diventare migliori. E volentieri nuotiamo e ci immergiamo nel gorgo di forme e colori, oceano di petali, corolle, o semplici, creaturali cose. Cosa chiedere di più a un pittore?

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